Definizione e storia del doping: riassunto

Ultimo aggiornamento: 26.04.24

 

In questo articolo affronteremo il tema relativo all’uso di sostanze dopanti nel mondo dello sport, passando in rassegna l’evoluzione storica del fenomeno e le motivazioni che spingono gli atleti a ricorrere a queste pratiche illecite (e pericolose) di potenziamento fisico. 

 

Cos’è il doping

Proprio come accade nel mondo sociale, dove l’uso di droghe e stupefacenti è purtroppo una triste realtà, anche in ambito sportivo molti atleti sono soliti utilizzare sostanze proibite e farmaci allo scopo di incrementare artificialmente le prestazioni fisiche e la resistenza allo sforzo.

Nonostante sull’argomento sia stato detto e scritto di tutto, il doping mantiene ancora oggi un’allure di mistero circa le sue origini, ancora incerte. Le correnti di pensiero sull’etimologia del termine seguono, infatti, due differenti teorie: secondo alcuni la parola “doping” deriva dalla locuzione inglese “dope” (droga), mentre altri ne rintracciano le origini nell’arcaico termine sudafricano “doop”, che veniva utilizzato per indicare una bevanda alcolica assunta come stimolante durante alcuni rituali antichi.

Agli inizi dell’Ottocento, negli Stati Uniti, con l’espressione “to dope” si faceva riferimento alla pratica di “drogare” i cavalli da corsa mediante la somministrazione di preparati a base di tabacco e narcotici volti ad aumentarne l’efficienza agonistica. A prescindere dalle origini del termine, sta di fatto che il ricorso a queste sostanze dopanti è sempre illegale e va in contrasto con i principi etici e morali racchiusi nel concetto di “fair play”, secondo cui lo sport dovrebbe essere una competizione leale tra avversari dello stesso livello, dove vince chi dimostra maggiori abilità tecnico-tattiche.

In questo breve riassunto sul doping cercheremo di fare un po’ di chiarezza sulla questione, analizzando il percorso storico attraverso il quale si è diffuso il fenomeno e le sostanze dopanti più utilizzate nella pratica sportiva.

Storia del doping

La nostra ricerca sul doping inizia con un breve focus storico sull’argomento, che fino a qualche anno fa era noto solo ad atleti professionisti ed esperti del settore, mentre oggi è purtroppo diventato abbastanza popolare a causa dell’incalzante aumento di casi che hanno coinvolto personaggi famosi.

Sebbene in molti siano convinti che il ricorso al doping nello sport sia un fenomeno relativamente recente, in realtà già nelle Olimpiadi del 668 a.C. gli atleti erano soliti assumere sostanze eccitanti (come funghi allucinogeni e droghe stimolanti), il cui utilizzo a quei tempi era considerato assolutamente legale, oltre che normale.

Anche durante le gare di marcia organizzate agli inizi dell’800 era piuttosto diffuso tra i corridori l’uso di oppiacei e preparati a base di nitroglicerina allo scopo di migliorare le proprie performance fisiche, e lo stesso accadde nelle prime competizioni di ciclismo e boxe negli Stati Uniti.

Uno dei primi casi di doping a fare scalpore fu quello del maratoneta statunitense Thomas Hicks che, nel corso della maratona in occasione dei Giochi Olimpici di St. Louis nel 1904, si fece iniettare dal suo allenatore un milligrammo di solfato di stricnina (uno stimolante molto diffuso a quei tempi e che oggi, in quantità maggiori, viene impiegato come ratticida).

Nonostante l’utilizzo della sostanza in gara, l’atleta non fu squalificato perché a quei tempi non esisteva ancora l’antidoping e non si parlava di sostanze proibite. All’epoca, infatti, non si teneva conto degli effetti collaterali del doping sull’organismo, per cui la somministrazione di queste sostanze non era assolutamente considerata un metodo scorretto per falsare le competizioni, ma piuttosto una pratica lecita e consentita.

Durante le Olimpiadi di Berlino, nel 1936, tra le sostanze dopanti utilizzate dagli atleti fecero la loro comparsa anche le anfetamine, che vennero poi somministrate ai soldati durante la Seconda Guerra Mondiale. Nemmeno al termine del conflitto il fenomeno arrestò la sua diffusione, tanto è vero che tra gli anni Settanta e Ottanta i paesi dell’Est Europa ricorrevano di sovente al cosiddetto “doping di stato” durante le competizioni sportive internazionali per dimostrare, con le eclatanti vittorie dei propri atleti, la superiorità del sistema comunista.

Tuttavia, il massiccio utilizzo di questi “aiuti” farmacologici ebbe ben presto gravi conseguenze sulla salute di moltissimi sportivi e plurimedagliati olimpici, visto che dopo la caduta del Muro di Berlino cominciarono ad aumentare i casi di tumori, sterilità e devastazioni psicologiche dovuti proprio dall’abuso di queste sostanze.

La vera e propria lotta contro il doping cominciò dopo la morte del ciclista danese Knud Enemark Jensen, causata dall’assunzione di una dose troppo elevata di stimolanti durante le Olimpiadi di Roma del 1960. Qualche anno dopo l’accaduto, in occasione dei successivi giochi olimpici nel 1968, il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) istituì la prima commissione medica deputata ai controlli antidoping, con la conseguente esclusione dalla competizione dello svedese Hans LilJenwall, che verrà ricordato negli annali come il primo atleta della storia a essere stato squalificato per uso di sostanze illegali.

 

Doping e sostanze vietate

Arrivati a questo punto, sembra evidente come il fenomeno del doping vada in contrasto con i valori e il significato dello sport, inteso come insieme di principi etici di onestà, dignità, e rispetto verso gli avversari e i compagni di squadra. Ciò premesso, le sostanze dopanti più diffuse in ambito sportivo si possono suddividere in cinque categorie:

1) gli stimolanti (anfetamine, cocaina ed efedrina), che agiscono a livello del sistema nervoso generando euforia e una sensazione di forza e sicurezza nell’atleta;

2) gli anabolizzanti (testosterone, nandrolone e stanozololo), ossia degli ormoni capaci di stimolare la sintesi di proteine per aumentare la massa muscolare e la potenza fisica;

3) i narcotici (morfina e analgesici), utilizzati nello sport per contrastare il dolore e ridurre la sensazione di fatica durante le performance atletiche;

4) i diuretici (come il furosemide e l’idroclorotiazide), che non vengono impiegati per migliorare le prestazioni ma solo per favorire l’eliminazione urinaria allo scopo di ridurre il peso corporeo degli atleti o eliminare più rapidamente altre sostanze dopanti per cercare di eludere i controlli;

5) gli ormoni peptidici (eritropoietina, gonadotropina e insulina), costituiti principalmente da proteine e aminoacidi ramificati atti a migliorare l’afflusso di sangue e ossigeno ai tessuti muscolari in modo da incrementare la resistenza allo sforzo e il volume della massa muscolare.

Altri tipi di doping vietati nella pratica sportiva sono l’alcool, la canapa indiana, il cortisone e gli anestetici locali.

Sport e doping

Tra i casi più eclatanti di doping nel ciclismo ricordiamo quello di Lance Edward Armstrong, un ex ciclista statunitense all’attivo tra il 1992 e il 2011, che nel corso della sua carriera ha vinto per sette volte consecutive il Tour de France. La maggior parte di queste vittorie, però, gli è stata revocata dall’UCI e dal CIO nel 2013 a seguito di un’inchiesta condotta dall’United States Anti-Doping Agency che appurò il sistematico uso di pratiche dopanti da parte dell’atleta e della sua squadra.

Un altro episodio molto noto di doping nello sport coinvolge l’atleta italiano specializzato nella marcia Alex Schwazer, medaglia d’oro olimpica della 50 km a Pechino nel 2008. Durante le Olimpiadi di Londra 2012 il marciatore fu squalificato da tutte le competizioni sportive fino al 2016 dopo essere risultato positivo a un controllo antidoping.

Ma i colpi di scena non finiscono qui, perché, una volta rientrato in attività in occasione dei Giochi olimpici di Rio de Janeiro del 2016 risulta nuovamente positivo ai controlli, per poi essere assolto dal Tribunale di Bolzano nel febbraio del 2024.

 

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