I 5 indimenticabili bidoni che hanno giocato a calcio in serie A

Ultimo aggiornamento: 19.04.24

 

Ecco cinque giocatori che prima di arrivare nella serie A italiana erano considerati delle promesse del Calcio ma che, una volta in campo, hanno deluso le aspettative.

 

Le storie più interessanti che si possono leggere sui giornali e sulle riviste sportive, almeno in Italia, riguardano quasi sempre calcio & basket; in particolar modo il primo, visto che lo sport più seguito nel nostro Paese.

Come accade in Brasile e in altri Paesi del Sud America, anche in Italia il calcio è considerato lo sport nazionale e di conseguenza non viene trascurato in nessuno dei suoi aspetti, inclusi quelli più imbarazzanti. Quando si parla di calcio, infatti, vengono subito alla mente i nomi di calciatori leggendari, come Pelé, Maradona e Zico; ma le pagine di storia di questo sport sono state scritte anche da calciatori scarsi.

Parliamo di giocatori che nonostante un inizio di carriera molto promettente, al punto da essere arrivati a giocare nella serie A italiana, per diverse ragioni hanno tradito le aspettative e si sono rivelati dei veri e propri bidoni del calcio.

Andiamo quindi a conoscere cinque calciatori provenienti da diverse nazioni che hanno avuto la sfortuna di non essere all’altezza della loro fama, e che di conseguenza hanno attraversato come meteore la storia calcistica italiana, in alcuni casi a torto in altri a ragione.

 

Hugo Hernàn Maradona

Spesso la fama di bidone del calcio è del tutto immeritata, e può condizionare pesantemente la carriera di un giocatore. È il caso di Hugo Maradona che, come si può facilmente intuire dal cognome, era il fratello minore del leggendario Diego Armando Maradona.

Hugo fu acquistato dal Napoli nel 1987, su pressanti richieste del fratello Diego, ma venne subito ceduto in prestito all’Ascoli; Hugo aveva una buona tecnica e possedeva anche la visione di gioco, che unita a una buona dose di creatività gli permetteva di improvvisare delle azioni geniali, ma aveva appena diciotto anni e il suo fisico, non ancora del tutto sviluppato, non gli permetteva di reggere il ritmo per tutti i novanta minuti di una partita di serie A.

Molto probabilmente, se gli fosse stata data una seconda opportunità le cose sarebbero andate diversamente; fin dal suo esordio nell’Ascoli, purtroppo, la notorietà del suo cognome creò pesanti aspettative, nel pubblico ma soprattutto nei compagni squadra, di conseguenza dopo sole 13 partite fu ceduto alla squadra spagnola Rayo Vallecano, chiudendo così la sua esperienza con il campionato italiano.

Jorge Luìs Andrade da Silva e Renato Portaluppi

Ben diversa, invece, è stata la storia di Renato e Andrade a Roma; non possiamo parlare di Jorge Luis Andrade senza citare anche Renato Portaluppi infatti, anche lui brasiliano. Entrambi vennero acquistati nel 1988 dalla Roma, che nutriva grandi speranze per la coppia brasiliana.

Andrade, però, dopo le prime partite venne fortemente contestato, perfino dalla tifoseria romana che, a causa della sua estrema lentezza in campo, gli affibbiò il soprannome di “Er Moviola”; per quanto riguarda Renato, invece, i giornalisti lo soprannominarono in maniera impietosa “El pube de oro”, perché si dimostrò più interessato alle belle donne e alla vita notturna che non alla squadra e ai risultati in campo.

Entrambi i giocatori durarono una sola stagione, dopodiché ritornarono in Brasile e continuarono la loro carriera calcistica; Andrade giocando e allenando fino all’età di 40 anni, mentre Renato continuò a giocare fino ai 38 anni, età in cui intraprese la carriera di allenatore che porta avanti ancora oggi.

 

Gaizka Mendieta

“Mister 90 miliardi”, con questo soprannome è rimasto nel ricordo collettivo il centrocampista spagnolo Mendieta, che dopo aver militato nel Castellón e nel Valencia fu acquistato dalla Lazio nel 2001 per la stratosferica cifra di 43 milioni di euro, equivalenti appunto a quasi 90 miliardi di lire. Inutile dire che l’acquisto si rivelò un flop madornale: il calciatore non riuscì a mettere a segno un solo gol per l’intero campionato e venne poi ceduto in prestito al Barcellona.

Mendieta, a differenza di altri giocatori che hanno poi intrapreso la carriera di allenatore, dopo aver appeso le scarpette da calcio al chiodo ha preferito dedicarsi a tutt’altro; attualmente si diverte a fare il deejay nelle principali discoteche della città inglese di Yarm, dove vive dal 2008.

 

Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira

Il grande Pelé definì Socrates il “giocatore più intelligente della storia del calcio brasiliano”, per il quale è stata una figura emblematica quanto lo stesso ambasciatore e ministro dello Sport.

In Italia divenne noto durante i mondiali del 1982, dove rivestì il ruolo di capitano della nazionale brasiliana. Magro e longilineo, con una folta capigliatura e con una barba che gli valsero il soprannome di “Che Guevara del calcio”, Socrates era soprannominato anche “dottore”, a causa della sua laurea in medicina, ciò nonostante fumava un pacchetto di sigarette al giorno ed era un accanito bevitore di birra. Amava fare le ore piccole e discutere con gli amici, soprattutto di politica; si definiva infatti di sinistra e anticapitalista, inoltre in squadra era eccentrico e ribelle, nonché un convinto sostenitore dell’autogestione dei giocatori, che praticava già quando giocava nella squadra del Corinthians. Il suo carattere rifletteva in pieno la realtà del calcio brasiliano degli anni ’80, dove i giocatori non erano abituati a praticare né allenamenti né ritiri ma imparavano e affinavano le loro tecniche direttamente giocando.

Nel 1984 arrivò a Firenze, acquistato da una Fiorentina che sperava, grazie a lui, di vincere lo scudetto; Socrates, infatti, era un ottimo calciatore, in possesso di una notevole visione del gioco e di un tiro potente e preciso, abile nel palleggio e famoso per i suoi colpi di tacco di precisione chirurgica, che gli valsero il soprannome di “tacco di Dio”.

Purtroppo il suo modo di concepire il calcio era completamente diverso dalla realtà italiana; Socrates non reggeva gli allenamenti e in particolar modo i ritiri, che trovava estenuanti, quindi chiese di esserne esentato.

La difficoltà ad adeguarsi lo portò a una progressiva mancanza di impegno sul campo, cosa che acuì ulteriormente la frattura tra il giocatore e la squadra; alla fine Socrates divenne un personaggio scomodo e a fine stagione ritornò in Brasile, dove continuò a giocare nel Corinthians fino al 1988, anno in cui si ritirò dall’attività calcistica per dedicarsi alla professione medica.

Socrates rappresenta uno dei tanti casi in cui ottimi giocatori stranieri, una volta arrivati nella nostra serie A, diventano bidoni non perché siano incapaci, ma perché non riescono ad abituarsi al calcio italiano. Nel suo caso specifico, però, buona parte della colpa ricade anche sulla squadra, che non venne incontro al calciatore e non seppe, o non volle, far nulla per valorizzare e mettere a frutto le sue notevoli doti.

 

 

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